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UN MONDO DI MARIONETTE
(MARIONETTERNA)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 24 dicembre 1981
 
di Ingmar Bergman, con Robert Arztorn, Christine Buchegger, Martin Benrath (Svezia - Germania Occidentale, 1980)
 
Il regista Ingmar Bergman
Dopo Scene da un matrimonio, Sinfonia d'autunno, per non parlare del brillante ma dispersivamente spettacolare L'uovo del serpente girato a Berlino, quest'ultima opera rappresenta sicuramente un momento di raccoglimento, di ritorno a sé stesso, nella carriera del celebre svedese. Il quale ha recentemente fatto sapere di voler addirittura smettere di fare del cinema: nel qual caso Un mondo di marionette parrebbe addirittura una specie di testamento. Ma non anticipiamo. Un mondo dI marionette è comunque un Bergman puro, come quelli che facevano la gioia, ai tempi, dei suoi arnmiratori più accesi: girato senza attori celebri e da celebrare, in bianco e nero "interiorizzante", costruito su un avvenimento ben preciso e con una altrettanto precisa volontà di non allontanarsi dal soggetto descritto.

Protagonista del film è un borghese di gran successo sociale, omosessuale che s'ignora e si reprime, sposato ad una donna dal carattere forte, vittima di tre personalità ben precise. La madre del protagonista, lo psichiatra al quale egli si rivolgerà per aiuto, che compirà il destino del protagonista Ee a quest'ultimo, infatti, (il personaggio forse più originale del film) che riusciranno le cose. I tre sono spinti dal desiderio: ma quello materno della madre, e quello banalmente adulterino dello psichiatra avranno le armi spuntate. Più sottile quello dell'omosessuale: farà conoscere una giovane prostituta, e qui scatterà la molla che farà compiere il delitto.

Il film, seguendo una specie di inchiesta, prima e dopo l'assassinio della prostituta, rintraccia la storia che conduce il protagonista, una delle marionette quindi, a finire coi fili tagliati. Perduto in prigione, o forse salvato per aver potuto finalmente realizzare il proprio destino. Su questa alternativa non riusciremmo a giurare, perché il film non è chiarissimo. Così come, almeno dal punto di vista psicanalitico, non ci sembra nemmeno di una originalità sconvolgente: madre oppressiva, omosessualità latente, aggressività repressa, la prostituta - vittima che si chiama come la moglie e che fa scattare il processo di catarsi...

Bergman, più che di questi orpelli della psiche, sembra ansioso di ritornare alle sue preoccupazioni di sempre: l'impossibilità di comunicare con i sensi per non parlare dei sentimenti, il lavoro di demolizione che sulla coppia e l'individuo effettua il mondo circostante. Ed una delle cose più riuscite del film, in questo senso, è il modo sobrio quanto fortissimo con il quale Bergman (e Sven Nikvist, il suo celebre direttore della fotografia) sono riusciti a farci sentire la presenza dell'universo distruttivo che circonda quello dell'individuo protagonista: autostrade, edifici, rumori colti di scorcio ma terribilmente minacciosi. "Dilapidare un capitale d'amore attraverso i mille episodi del quotidiano", dice il protagonista. E il riflesso del pensiero ormai sconsolato di Bergman, il quale non accenna nemmeno più a quelle illusioni di felicità, a quei brevi ricordi d'amori ai quali si attaccava in passato.

Come in Scene di vita coniugale colpisce la volontà del regista di semplificare al massimo il suo discorso, di voler invadere attraverso il volto ed il comportamento dei personaggi il loro animo: la macchina da presa non li abbandona un attimo, nemmeno per attardarsi un secondo sugli ambienti che pur potrebbero rivelarci molte cose. Ma la preoccupazione, forse l'angoscia del regista, è quella di non perdere mai di vista il proprio soggetto. Certi procedimenti (come quello dei sogni, girati in sovraesposizione, con le persone che si stagliano sullo sfondo bianco) appaiono un po' datati. La stessa volontà di dividere in capitoli l'inchiesta, con tanto di didascalie esplicative, non soltanto non è nuova, ma non sempre impedisce al film di girare un po' su sé stesso.

Un mondo di marionette appare così un film autentico per la volontà che si sente presente di allontanarsi dalla decorazione e dal romanzo per viaggiare nell'intimo. Ma a questa lucidità e efficacia dell'uomo non giureremmo corrisponda esattamente la medesima limpidezza del Bergman creatore.


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